“Io vi parlo qui del tempo in cui, ragazzi, andavamo a scuola; del tempo che vorremmo tornasse, ma è impossibile. Dei sogni, delle speranze che avevamo nel cuore; della nostra innocenza; delle lucciole che credevamo stelle perché piccolo piccolo era il nostro mondo, basso basso il nostro cielo. Vi parlo delle stesse cose che voi ricordate, e se ve le siete scordate v’aiuto a ricordarle. Di quelle cose perdute che voi ora ritrovate nei vostri figli e vorreste – tanto sono belle – che non le perdessero mai.”
(Da “Ricordi di scuola”, di Giovanni Mosca)
Quarta ginnasio… lo so, si dovrebbe dire quarta ginnasiale, ma lo trovo tanto corretto quanto pedante.
Era l’ottobre del 1967 e in quel piccolo liceo di una provincia sonnacchiosa, dove i ragazzi vestivano in giacca e cravatta e le ragazze portavano il grembiule, non si percepivano ancora, come nei licei romani, i fermenti della rivolta studentesca che sarebbe esplosa nel ’68.
A fine mese l’organico dei docenti della nostra scuola era ancora incompleto. Sulla cattedra di alcune materie si alternavano giovani supplenti e a volte accadeva che, per coprire i vuoti d’organico, due classi venissero accorpate in aula magna. In quei casi era in genere il preside, insigne filologo, a tenere lezione.
E fu così che in una grigia mattina d’autunno quarta A e quarta B si trovarono unite per seguire la lezione di latino impartita dal Signor Preside… allora si diceva ancora così.
Io ero nella sezione B e Lei nella A. Dato che non vi erano posti assegnati ciascuno si accomodò a suo piacimento ed io mi precipitai a prender posto accanto alla fanciulla che aveva acceso nel mio petto la fiamma dell’amore prima ancora di varcare la soglia della scuola. Era la mia giornata fortunata e benedissi il male di stagione che aveva inchiodato a letto il supplente.
Fuori pioveva, ma nel mio petto ardevano mille soli. Sento ancora il suo profumo e il fruscio del suo grembiule di seta. Dovevano essere due ore di sublime piacere… ma così non fu.
Dopo una mezz’oretta di lezione, durante la quale il Signor Preside aveva parlato di non so cosa, tanto ero preso dalla estatica contemplazione di Lei, mi sentii chiamare:
“Bernardini, venga alla lavagna e mi traduca il testo latino che le detterò”.
Ne fui felice. Ero molto bravo in latino, mi si offriva l’occasione di fare un figurone dinnanzi a lei, ma non avevo fatto i conti col bastardo… pardon, col Signor Preside.
Il testo che scrissi sotto dettatura alla lavagna era ostico, roba da prima liceo, almeno, e benché avessi alle spalle tre anni di latino ben fatto mi trovai di fronte a un’impresa decisamente superiore alle mie forze. Risultato, una figuraccia e non una figuraccia qualunque, perché l’avevo fatta dinnanzi a Lei.
Tornai al mio posto umiliato e inseguito dal: “Non ci siamo, Bernardini, non ci siamo” del bastardo. Mentre mi accasciavo sulla sedia mi parve di cogliere in Lei un gesto furtivo, come se si ritraesse affinché io non la contaminassi con la mia ignoranza.
All’uscita l’aspettai, come facevo sempre, per percorrere insieme il tratto di strada che ci avrebbe condotto alla fermata dell’autobus. Dopo la pioggia era spuntato un timido sole, ma nel mio petto era tempesta. Appena mi vide mi fece un largo sorriso, più cordiale del solito, ed io capii che non l’avevo perduta.
Ci incamminammo silenziosi, nessuno dei due trovava le parole per smorzare la tensione che si era accumulata nelle ore precedenti, ma quasi subito ci raggiunse una mia compagna di classe che si rivolse ad E. dicendole: Sai, E, oggi Federico è stato grande durante l’interrogazione di inglese, è il migliore di tutti”.
R, a quattordici anni, aveva già visto il mondo ed era perfettamente bilingue, parlava magnificamente l’inglese.
E. mi rivolse un dolce sorriso ed io guardai R. con occhi pieni di riconoscenza, mi sarei gettato ai suoi piedi e glieli avrei baciati… era veramente di classe, la mia compagna.
Federico Bernardini
La foto degli anni Sessanta ritrae una classe ginnasiale del Liceo Manzoni di Milano
salvo piras ha detto:
Suggestivo e struggente! Ecco come si fa ( con giuste parole senza enfasi) a dipanare e rendere visibile a tutti quel groviglio impenetrabile e confuso di pensieri, emozioni, dubbi e lampi di entusiasmo frammisti a speranze chiamato primo amore che noi tutti, penso, abbiamo vissuto tra i banchi di scuola o sull’autobus o nel treno che ci riconduceva a casa e che mai piu’, nella nostra vita di adulti, avrebbe percorso quella lunga strada in un cosi’ breve tempo.
Sono ricordi che, per quanto mi concerne ed ora che sono solo, ancora mi commuovono e che emergono nitidi e pulsanti dai recessi della memoria che pero’ li ha preservati dalla polvere del tempo e dall’oblio curandoli come gioielli di inestimabile valore. Gioielli che si tirano fuori per ricordare che anche noi abbiamo vissuto, in tempi lontani, momenti magici di dolcissimo e tenero amore e sentire che questi ricordi ci fanno compagnia e sostegno.
Grazie Federico!
federico bernardini ha detto:
Quelli, per molti di noi, sono stati fra gli anni più belli e serbarne il caldo ricordo primaverile rende più sopportabile l’autunno che precipita nell’algido inverno. E condividere questi ricordi, oltre che gustarli, ce li rende ancora più cari.
Grazie, Salvo!
aaquilas ha detto:
Che tenerezza quell’adolescente e come eravamo ingenui ai nostri tempi. Mi paicerebbe che gli stessi sentimenti albergassero nei giovani di oggi. Che dici, ci sarà qualcuno che prova ancora quei leggeri battiti d’ali al cuore?
salvo piras ha detto:
Forse è una fatalità’. Ad un anno esatto da quando scrissi quel commento lo stesso mi è tornato tra le mani; e mi ha fatto sobbalzare il cuore e inumidire gli occhi. Oggi non scriverei una parola di più’ od un verbo diverso! Eravamo teneri?diversi?abitanti di un piccolo mondo ormai tramontato? non so cosa dire ora che ho passato i 70 anni e sono rimasto da solo senza quella donna,che allora bionda e delicata fanciulla, mi fece provare cio’ che ho cercato, in maniera incompleta, di riassumere nel vecchio commento di un anno fa’ e che resta ancora un vivido ricordo ,seppur lontano, di emozioni, batticuori, ansie dell’adolescenza che nulla ora puo’ più’ imitare. Si’, un piccolo mondo per tanti piccoli uomini che al posto del cuore avevano un vero cuore capace di esaltarsi, piangere, commuoversi perché’ senza le croste che questa vita moderna, complicata, mai ora abbastanza appagante ha avvolto questa nostra intima parte che fu sempre considerata la sede dalla vita sentimentale ed affettiva.Giovanni Mosca ha, con le sue parole, esplorato profondamente e riportato alla luce queste infinite , dolci sensazioni che si sono, nel tempo, sedimentate nella profondità’ del nostro animo ma pronte ad emergere quando ad esse ci si rivolge, come me, per chiedere aiuto o conforto in un momento della vita costellata di macerie. Oggi io sto vagando tra loro ma ho con me la luce calda di questi ricordi. Grazie Federico per le tue scelte!
federico bernardini ha detto:
Grazie della visita, Angela! 🙂 Me lo auguro… per loro.
federico bernardini ha detto:
Grazie a te, Salvo, ancora una volta hai saputo trovare parole belle e toccanti. Un abbraccio!